La boaria
 LA   BOARIA
   di Umberto  Gasparoni
 L’aratura del campo era terminata e,qua e là,
 le zolle rivoltate rilucevano al già cocente
 sole di fine giugno.  anche la Silia,dall’abile
 mano nel distribuire lungo i freschi, desiderosi
 solchi, via-via arati, i semi di granoturco, che 
 avrebbero dato il raccolto del “sinquantin”,
 stava completando l’ultimo giro.
 Tita, l’addetto ai “ brancoli “, cioè ai manici
 dell’aratro, lo stava sollevando,affinché Bepi,
 il fratello maggiore, che invece, era addetto a
 condurre la  “ boaria “, potesse passargli sotto
 il carialo, quel piccolo carretto che ne consentiva
 il trasporto, senza che l’accuminato e lucente 
 vomere avesse da conficcarsi nella carrareccia.
 Dopo essersi dissetati ancora una volta, con vino
 e limonata, dalla capiente fiasca, si accinsero
 al rientro a casa. Era commovente, quella 
 processione di uomini e animali, accomunati dalla
 fatica, stanchi e intrisi di sudore, procedenti a lento
 e pesante passo. il campanile aveva da poco 
 rintoccato dieci colpi e loro erano li da prima 
 dell’alba. Solo una breve sosta, alle sette, per una 
 frugale colazione, che la Sila, tra un giro e l’altro,
 lungo i solchi, aveva trovato il tempo di andare
 a prendere a casa. Finalmente arrivarono alla
 fattoria. Tita staccò l’aratro, mentre Bepi scioglieva
 dai rispettivi gioghi il cavallo, la coppia delle
 vacche  da tiro  e le due dei possenti buoi, 
 che così era normalmente composta la boaria,
 quel traino animale che consentiva l’aratura.
 le  “ macchine da arare  “ esistevano solo per 
 sentito dire e in terre lontane.
 
						
						
						
Il          tempo          passa,          l'azione          resta.