Polenta mia
 Polenta   mia
 Di   Padre  David  Maria  Turoldo
 E  finalmente la polenta
 Tutto il paese, la sera, un dolcissimo odore di
 Polenta appena rovesciata sul tagliere; ed era
 finalmente il richiamo per cui noi lasciavamo
 di giocare a bandiera sulla piazza.
 è la mamma non faceva più fatica a chiamarci
 perché una voce, quella dell’appetito, ci portava
 a casa tutti come rondoni.
 Polenta mia, guai se qualcuno parlerà male di te.
 Io non ho mai conosciuto il pane: a casa il pane 
 lo mangiava soltanto chi si ammalava; ma era 
 un caso raro, e poi tanto poco da fare appena
 una panà.  
 Ma la polenta!   Cosa nascondevi dentro la tua 
 sostanza per farci crescere tutti così grandi, 
 in fretta?  Tutti noi fratelli, alti come gambe 
 di granoturco, forti, instancabili più degli
 altri (mai una malattia che ci abbia minati ); e,
 ancora ragazzi, con il piccone, d’inverno, 
 a estirpare i ceppi perché il focolare fosse 
 sempre caldo .
 Mattina, latte e polenta; mezzogiorno, 
 minestra e polenta; la sera, radicchio, lardo, 
 e ancora polenta .  e, anzi, nei giorni duri, 
 di magra, io ricordo mio padre che tagliava
 due fette dalla piccola montagna d’oro e me
 ne metteva una per mano e mi diceva;
 “ Ecco, una la chiamerai polenta e l’altra
 formaggio”.  e io che ci credevo; e addentavo
 ora da una mano ora dall’altra, fingendo di 
 mangiare polenta e formaggio.
 E gli amici, quelli delle poche famiglie ricche
 del paese, mi prendevano in giro, m’insultavano, 
 io piangevo eppure non potevo pensar male della
 polenta, non potevo dir male di mio padre.
						
						
						
Il          tempo          passa,          l'azione          resta.